IL VIGORELLI, ECCO LA PRIMA SPERANDO SIA L’ULTIMA

0
129

E’ una prima, con le sue emozioni e i suoi tremori. Una delle tante, troppe prime. Sperando sia l’ultima. Cioè che non ce ne sia più bisogno. Che a questa apertura non seguano altre chiusure e altri abbandoni. Il Vigorelli non lo merita: per la storia che ha, per il fascino che ha, per il significato che ha.

I primi ciclisti girano in piena festa del 2 giugno. La coincidenza è romantica, anche se molta poesia sparisce all’inevitabile pensiero che la vera coincidenza sia quella con le imminentissime elezioni. Non solo per questo, certo, ma anche per questo Milano torna alla sua puntualità asburgica: s’era detto primi giri di pista entro l’inizio di giugno, così è. Sulle tribune, i valorosi e cocciuti membri del Comitato possono tirare un sospiro di sollievo e di soddisfazione: la nuova pista, cui seguiranno i restauri di spogliatoi e gradinate (8mila posti), è il risultato della loro battaglia ideale, a difesa della storia e della cultura che questo impianto ha espresso, partendo dal 1935, quando l’industriale Giuseppe Vigorelli, ex pistard, assessore nella giunta Mangiagalli, lo immaginò e lo fece realizzare.

Era un’idea per la città, ma come tante altre idee milanesi diventò un mito mondiale. Le veloci kermesse, zie delle moderne Sei giorni, certo. Ma col passare degli anni il santuario del ciclismo allarga le sue braccia e finisce per accogliere il meglio di tutto il genere pop, realmente pop: ancora arrivi dei Giri d’Italia e dei Lombardia, record dell’ora, ma anche boxe e concerti, fino al memorabile evento dei Beatles, nel 1965, unica data italiana.

E’ dopo, dal 1975, a mezza età, che il Vigorelli entra nella fase critica. Chiuso nel ’75, riaperto nell’84, chiuso (per nevicata) nell’85, riaperto nell’86, chiuso nell’88. Ogni volta dibattiti sul riutilizzo, consultazioni, creatività a cottimo. Ma ogni volta c’è qualcosa o qualcuno che relega il Vigorelli in fondo alla lista delle priorità. Passare in zona Sempione e assistere all’agonia è una pena infinita. Nel lessico familiare il termine Vigorelli, da luci ed effetti speciali che era, diventa espressione di ruggine, rovi, rifiuti. A un certo punto, nel ’97, è il gruppo Mapei di Giorgio Squinzi che prova a mettersi una mano sul cuore e una sul portafoglio. Il Vigorelli rinasce, inizialmente con una gara di sci da fondo, ma con l’idea fissa di ripartire come velodromo. Purtroppo, sarà ancora una volta il sogno incompiuto: una sola serata, settembre ’98, con i pistard Collinelli e Martinello, con Ballerini e Pantani, ma senza più seguito. Per il Vigorelli è di nuovo notte. Una notte senza stelle. Lunga, cupa, umiliante.
E che sia finita, questa notte. La nuova pista in legno della val di Fiemme, valle lontana e appassionata che ha piantato un bosco, il “Bosco Vigorelli”, per assicurare anche le future manutenzioni, è pronta per il domani. Impossibili Olimpiadi e Mondiali, perché troppo lunga (397 metri). Ma dopo i 7 milioni di spesa, ci saranno scuole di ciclismo, riunioni amatoriali, kermesse spettacolari. Più il football americano nel campo centrale. Non c’è bisogno di spremere poi tanto le meningi, per il Vigorelli: basta guardarsi indietro. Un bel futuro può essere semplicemente il fedele bis del passato. I tubolari che sospirano sul legno pregiato diffondono già l’antica melodia. Milano, ascolta: è il suono inconfondibile di quella che fu, che vorrebbe essere, la vera Scala del ciclismo.

di Cristiano Gatti da «Il Corriere della Sera – Milano» del 3 giugno 2016